Nel libro "La mia fanciullezza con Gurdjieff" di Fritz Peters, Fritz, un ragazzino americano di 11 anni, mandato dalla madre a Fontainebleau per studiare all’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo, si vide assegnare da Gurdjieff in persona uno strano compito, quello di tosare il prato della scuola.
Fritz si aspettava una qualche prova preliminare che lo orientasse nelle discipline da studiare, e invece Gurdjieff lo lasciò a tosare il prato e a fare un lavoro sempre più esteso e preciso, ogni giorno, per sei mesi.
Potremmo dire che era una prova da una parte (il ragazzino stufo e deluso sarebbe potuto tornare a casa dopo la prima settimana o dopo il primo mese), ma anche un modo per svilupparla, la forza interiore, in qualcosa di semplice, quotidiano, né pericoloso né drammatico.
Come possiamo conoscere empiricamente la nostra forza interiore?
In tanti modi, uno, per esempio, è soffermarsi su un elenco scritto (a mano), dei momenti in cui abbiamo percepito, senza cercarla, la nostra forza interiore, da piccoli come da grandi.
Percepito, visto, senza cercarla.
Un altro modo è un elenco (sempre scritto a mano, magari creando un quaderno ad hoc) delle situazioni ipotetiche in cui sappiamo che avremmo forza interiore, qualcosa capitato ad altre persone che a nostro avviso non ne hanno avuta o ipotizzando situazioni difficili che avremmo la forza di affrontare.
Come possiamo percepirla e svilupparla?
In parte usando la forza di volontà.
In tutte le tradizioni religiose e spirituali esistono compiti, rituali, obbiettivi che possono apparire irrilevanti o incomprensibili quanto a contenuto, ma fondamentali quanto a processo.
Perché il raggiungere un obbiettivo semplice con costanza e determinazione sviluppa la forza interiore e la tiene viva. Cosi un piccolo compito che ci prefiggiamo e manteniamo ci aiuta a percepirla.
Lei, la Forza Interiore, a volte sta in superficie e si fa vedere, ma il suo habitat è più profondo, e sta a noi farla emergere.
- Melita Lupo