Mi chiedono.
Perché la nostra società ha privilegiato la famiglia mononucleare.
E anche una direzione demografica, così ci sono bambini soli, senza fratelli. Adulti soli, vecchi soli.
Perché c’è un obbligo, una spinta: “non devi stare solo” , che paventa un pericolo. Se un bambino, un ragazzo vuole stare da solo ci si preoccupa.
“Ma come, si sentiva solo, aveva tanti amici!!” Già, ma chi trova UN amico trova un tesoro. Perché facciamo confusione tra “solo” , in inglese alone, che è l’io individuo, io unico, io identità, e “solo abbandonato”, in inglese lonely, che è l’io lasciato, io che nessuno vuole, io orfano.
Mi raccontavano, in Giordania, che è uso costruire le case su più piani: al piano di sotto quella di madre e padre e man mano sopra quelle dei figli che si sposano, ma il centro della vita familiare è sotto. Sotto si mangia, si vive, si collabora. La madre a sessant’anni va in pensione dal suo ruolo attivo, e subentrano figlie e nuore, e analogamente per gli uomini. Non dico sia meglio, e a me non piacerebbe, figlia come sono di questa società, però somiglia un po’ alla storia degli orsetti lavatori, tutti fanno qualcosa, organicamente.
Perché i nostri cuccioli non possono stare attaccati a noi mamme per tutto il tempo che sarebbe necessario per la nostra specie, e magari aumenta il senso di abbandono. Poiché non c’è sufficiente nutrimento spirituale, Dio non è stato sostituito da niente nel cuore delle persone della nostra società.
Perché si è diffusa l’idea che la solitudine si combatte aumentando i contatti, contatti che si creano e si frantumano originando una polvere che non è Stardust, la polvere di stelle, ma piuttosto la polvere di un buco nero.
Perché l’aumento sterminato di contatti, i social, non è societas.
Riflessioni sparse sulla domanda che mi è stata posta. Su ognuno di questi temi sono stati scritti libri. Io non lo so. Posso talvolta accompagnare qualcuno a scoprire il senso della sua propria solitudine.
- Melita Lupo